RICORDO DI TONY PELLEGRINO IL SALERNITANO CHE VOLLE MORIRE CUBANO
*La rubrica dell’esperto
L’Avana, ottobre 1997
“Cafeteria Copelia”
“Compagnero! Por favor, uno heladito para mi”.
La richiesta al barman veniva da un ragazzotto ben piazzato, con i gomiti poggiati al bancone della più famosa gelateria di Cuba. L’accento però non era propriamente locale, anzi tradiva una inflessione a me familiare. “Sei italiano?”- chiesi- ed un sorriso gioviale mi si parò davanti con la risposta pronta: “Sì, vengo da Salerno, conosci?” Perbacco !, quando si dice la combinazione. Già è una rarità trovare un italiano in America, ma se poi ne incontri proprio uno della tua città, allora l’evento ti stupisce.
Fu questo il mio primo incontro con Antonio Pellegrino, detto Tony, a quell’epoca già’ mezzo cubano. Egli, come tanti del resto, si era follemente innamorato di quel posto ed era decisamente desideroso di viverci il resto della sua vita.
Ora proverò in “due” righe a raccontarvi la sua vicenda anche se non è facile farlo in poche “battute “giornalisticamente parlando. Si tratta di una storia molto triste, ma vera e vissuta con le emozioni di chi passa per questa vita e non accetta di viverla nell’ ipocrisia. E’ la storia di chi si innamora di un popolo straordinario che vive nel provvisorio e nella precarietà ,dove ogni giornata è una lotta per il diritto a un sorriso e ad un piatto di accettabile “comida”. Il primo viaggio di Tony laggiù risaliva a qualche anno prima del mio incontro con lui al Copelia, allorché aveva vinto un biglietto premio per i Caraibi. Era un evento non eccezionale per lui che lavorava nelle agenzie di viaggio a Salerno. Uso il plurale perché i suoi luoghi di lavoro cambiavano continuamente, per il suo scarso adattamento al conformismo di una vita “normale“, a causa del suo “modus vivendi” stravagante ed inaffidabile, stile figlio dei fiori anni 70. Oggi da Sergio al corso, poi da Mimmo a Torrione, poi ancora in qualche altra agenzia fino a decidere di mettersi in proprio in un “buco” del Centro Storico. Ma dopo essere stato a Cuba, il mondo per lui si era capovolto. L’Avana era diventata la sua città e Salerno quella in cui tornare, giusto in tempo per guadagnare il necessario per poi ripartire. Il “Caribe” era la sua “dimensione perfetta” la sua misura giusta, dove tutto incontrava il suo gusto, la sua approvazione di una vita libera e senza compromessi. Tony la’ era felice; lo inebriava quell’aria intrisa di “gazolina”, quell’odore di fritto nelle strade del centro antico, dove dalla rocca del Morro (foto sotto) si guardava lo stesso mare che Colombo aveva visto cinquecento anni prima.
Tony amava quelle facce multicolori che si incontravano nella calca di calle Obispo, o che si intravedevano nella oscurità delle discoteche della vita notturna dell’Avana . Quel popolo viveva come lui, in un “monton de problemas” che si lasciava scorrere addosso e con cui si era abituato ad andare “a braccetto “ in uno stato di inevitabile rassegnazione. Era conosciuto da tutti i salernitani che vivevano là’ e tutti, pur sapendo di queste sue eterne problematiche non lo fuggivano. Quando bussava alle porte delle loro case “particular “(che a l’Avana sono le abitazione che i privati fittano ai turisti, tipo i nostri B&B), nessuno fingeva di non essere in casa,, pur sapendo che dopo 5 minuti si sarebbero trovati di fronte a uno squattrinato che aveva finito i soldi, gli era scaduto il visto o non pagava già da qualche giorno la sua fittacamere . Ma poi si finiva tutti a riderci su, davanti ad un “traco de ron”. E sì perché chi va a Cuba e non beve un goccio di rhum è come venire in Italia e non mangiare pasta, o andare a Napoli e non gustare una pizza. E’ chiaro che le problematiche non si risolvevano da sole e spesso in un paese dove i controlli sono tanti, a Tony capitava di essere “beccato” con il visto scaduto e senza soldi per pagarsi il biglietto di ritorno. In quel caso la notizia arrivava all’orecchio dei salernitani/cubani che andavano alla “Unidad” a trovarlo, poi chiamavano la sua famiglia in Italia e alla fine si trovava il modo di riportarlo a Salerno. Davanti ai familiari costernati si sprecavano i giuramenti che assicuravano “Mai più tornerò a Cuba, basta con questi casini”. Ma come potete immaginare le promesse erano “de marinero “perché senza la sua isola, Tonv sarebbe morto. E proprio cosi’ è andata a finire. Nel 2012 era stato da poco “rimpatriato”, ma per l’ennesima volta aveva “apparato” i soldi per ripartire. Era un po’ di mesi che non stava bene di salute e forse aveva avvertito di essere prossimo alla fine. Lo diceva sempre a tutti: “Io voglio morire a Cuba, voglio essere sepolto in mezzo a loro”. La Recla è un “municipio” dell’Avana e si trova nei pressi del porto. C’e’ la chiesa de la “Virgin de los marineros “una madonna nera a cui si rivolgono i marinai nei momenti di pericolo. Come tutti i grandi” reparti” della capitale che conta più di un milione di abitanti, anche la Recla (foto sotto) ha un piccolo cimitero.
Proprio lì, come lui desiderava, a luglio del 2012 fu sepolto dai suoi amici cubani Tony Pellegrino. Non fu facile ottemperare alle pratiche che consentirono si compisse questo desiderio, ma come sempre furono i buoni uffici di un suo amico di sempre ,l’architetto Carlo Lambiase a far sì che si compisse la sua volontà. Ho parlato di questa “breve commemorazione” agli amici di Tony che ormai, avanti negli anni, sono rientrati qui a Salerno . Tra di loro non ce n’è stato uno che lo ha dimenticato. Tutti, indistintamente, mi hanno pregato di dedicare un ricordo a quel simpatico ragazzotto dal sorriso dolce e dal cuore buono ,che ogni volta che ti incontrava non mancava mai di salutarti alla sua maniera: “Hola chico, como te va la vida?”
*Camillo Lambiase