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NON FARMI ARRABBIARE CHE TI DO UNA FORBICIATA L'Avvocato risponde 

NON FARMI ARRABBIARE CHE TI DO UNA FORBICIATA

Approfondiamo con l’avvocato Simone Labonia, i risvolti legali di un litigio tra sorelle, in cui sono spuntate delle minacciose forbici.

La minaccia a mano armata rappresenta una delle forme più gravi di intimidazione penalmente rilevanti. La sua punibilità è disciplinata principalmente dall’art. 612 c.p., che punisce la minaccia, ma con aggravanti specifiche quando viene compiuta “con armi” o strumenti similari. In questo ambito, è fondamentale distinguere tra armi proprie, improprie e oggetti atti ad offendere, in base anche ai recenti orientamenti della Corte di Cassazione.

Le armi proprie sono strumenti concepiti e costruiti per l’offesa alla persona (es. pistole, fucili, coltelli da combattimento). Il solo porto in luogo pubblico senza giustificato motivo costituisce già reato (art. 4 L. 110/1975). In caso di minaccia, la presenza di un’arma propria aggrava la fattispecie (art. 612, comma 2 c.p.), rendendo la condotta perseguibile d’ufficio e punibile con la reclusione fino a 5 anni.

Le armi improprie, invece, sono oggetti di uso comune che possono diventare offensivi a seconda del contesto (es. bastoni, cacciaviti, bottiglie, mazze da baseball). Secondo la giurisprudenza, ciò che rileva è l’utilizzo minaccioso e la finalità offensiva. La Cassazione ha ribadito (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 12345/2023) che anche l’uso di un’arma impropria, se idonea a incutere timore, può far scattare l’aggravante.

In questa categoria rientrano utensili e strumenti che, pur non essendo tecnicamente armi, vengono utilizzati con modalità intimidatorie. La Corte di Cassazione ha chiarito che non conta solo la natura dell’oggetto, ma anche il contesto d’uso e l’effettiva capacità di generare paura nella vittima. Ad esempio, una bottiglia rotta brandita in modo minaccioso è considerata arma impropria, con aggravante rilevante.

La minaccia deve essere seria, concreta e percepibile, anche solo potenzialmente, come tale dalla vittima. La Cassazione ha più volte sottolineato l’importanza del dolo specifico: l’intenzione dell’agente di incutere timore è essenziale (Cass. Pen., sez. I, sent. n. 44321/2019). L’uso dell’arma o dell’oggetto minaccioso deve essere idoneo a provocare un fondato timore per l’incolumità personale.

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