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A QUESTO PUNTO DIAMOGLI LE PISTOLE AD ACQUA! L'Avvocato risponde 

A QUESTO PUNTO DIAMOGLI LE PISTOLE AD ACQUA!

Insieme all’avvocato Simone Labonia approfondiamo un aspetto controverso nella gestione dell’uso delle armi nella lotta alla criminalità.

Nel sistema penale italiano, l’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine è regolato dall’art. 53 del codice penale, che consente il ricorso alle armi “quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’autorità, e nei casi di assoluta necessità per l’adempimento del dovere”. Tale disposizione riconosce che in determinate circostanze, l’uso delle armi da parte degli agenti non solo è lecito, ma può essere considerato un dovere funzionale alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza collettiva.

Tuttavia, nella prassi giudiziaria italiana si è consolidata una tendenza ad aprire procedimenti penali automaticamente ogniqualvolta un agente ricorra alle armi, anche in contesti di evidente pericolo e necessità. Questo atteggiamento, se da un lato mira a garantire la trasparenza e l’accertamento dei fatti, dall’altro rischia di scoraggiare l’iniziativa e l’efficacia operativa degli agenti, inducendoli a una pericolosa incertezza decisionale nei momenti cruciali. Si profila così una forma di “giustizia difensiva”, in cui l’indagine non è più strumento di ricerca della verità, ma atto burocratico volto a prevenire critiche esterne, con conseguenze deleterie sia per gli operatori che per la sicurezza dei cittadini.

Il confronto con l’ambito comunitario mette in luce approcci normativi e culturali differenti. In Francia, ad esempio, la normativa concede maggiore discrezionalità agli agenti, specialmente nella lotta al terrorismo, riconoscendo l’importanza del contesto operativo. In Germania, la legge distingue con precisione l’uso graduato della forza, ma tutela gli agenti che agiscono entro i limiti della proporzionalità e della necessità. Al contrario, il modello italiano appare spesso sbilanciato sul piano della responsabilità individuale, senza una chiara protezione istituzionale degli operatori di sicurezza.

In sintesi, pur nel rispetto dei principi di legalità e responsabilità, è essenziale evitare automatismi investigativi che trasformano il pubblico ufficiale in indagato per definizione. Occorre un bilanciamento più equo tra la tutela dei diritti fondamentali e la necessità di non paralizzare l’azione delle forze dell’ordine, valorizzando il contesto e l’intento legittimo dell’intervento armato. Solo così si potrà garantire un’effettiva giustizia, capace di proteggere tanto i cittadini quanto chi è chiamato a difenderli.

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